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Produzioni - Ocram Dance Movement

Africa - orizzonti di rinascita (2023)

Produzione: ocram dance movement in collaborazione con Scenario Pubblico Centro di Rilevante Interesse Nazionale
Concept e Coreografia: Claudio Scalia
Costumi: Gabriella Palomba
Musiche: Armand Amar, Jaap Blonk e Yaron Engler
Danzatori: 4
Durata: 60 minuti

“Voi artefici del vostro destino,
incuranti del domani.
Voi ignari della grandezza della natura.
Voi uomini, già sconfitti, contro Madre Terra”.

Esistono ancora terre incontaminate, rifugio di anime buone, in cui la bellezza si trasforma in un ponte tra cielo e terra, in cui la spiritualità diventa tangibile. AFRICA nasce dai quattro elementi da cui prende vita l’autentica materia, luogo in cui l’esistenza intera è ricolma di gioia.

Qui arde un fuoco, purificatore e vivificatore, che racchiude in sé il principio dell’esistenza, scorre un fiume nelle viscere della terra e l’aria che si respira è energia vitale.

AFRICA rappresenta un ultimo tentativo di rifioritura per il nostro agonizzante pianeta e ci ricorda che la vita dell’universo è un ciclo perpetuo da rispettare.

“Voi artefici del vostro destino,
incuranti del domani.
Voi ignari della grandezza della natura.
Voi uomini, già sconfitti, contro Madre Terra”.

Esistono ancora terre incontaminate, rifugio di anime buone, in cui la bellezza si trasforma in un ponte tra cielo e terra, in cui la spiritualità diventa tangibile. AFRICA nasce dai quattro elementi da cui prende vita l’autentica materia, luogo in cui l’esistenza intera è ricolma di gioia.

Qui arde un fuoco, purificatore e vivificatore, che racchiude in sé il principio dell’esistenza, scorre un fiume nelle viscere della terra e l’aria che si respira è energia vitale.

AFRICA rappresenta un ultimo tentativo di rifioritura per il nostro agonizzante pianeta e ci ricorda che la vita dell’universo è un ciclo perpetuo da rispettare.

Icaro - variazioni sul mito (2023)

Idea: Marco Laudani
Regia: Marco Laudani e Sergio Campisi
Coreografia: Marco Laudani
Produzione: ocram dance movement con il supporto di Scenica Festival e la collaborazione di Scenario Pubblico Centro di Rilevante Interesse Nazionale
Danzatore: 1
Acting Coach: Sergio Campisi
Assistente alla coreografia: Rachele Pascale
Musiche: Davidson Jaconello, Stefan Levin, Ludwing van Beethoven
Costumi: Claudio Scalia, realizzazione a cura di Gabriella Palomba
Testi: James Joyce, Debora Benincasa a cura, con adattamenti, di Sergio Campisi
Durata: 20 minuti

“Quando un’anima nasce in questo paese le vengono gettate delle reti per impedire che fugga. Tu mi parli di religione, lingua e nazionalità: io cercherò di fuggire da quelle reti”.

L’essere umano non ha ali. Si muove camminando, tutt’al più correndo, ma sempre orizzontalmente. Ecco perché le nostre fantasie di libertà sono legate sempre ad un’ascesa, il volo, o ad una discesa, come lo scivolare o il lasciarsi andare.

La vita è un tuffo in un labirinto orizzontale. La libertà è un movimento verticale, un volare verso le stelle, o un tramontare delle stesse.

Il desiderio indica l’attesa di un qualcosa, una promessa di Bene, la stessa pulsione vitale del cuore di Icaro che lo porta inevitabilmente a continuare a cercare cosa, o meglio “chi”, sia capace di soddisfare il suo ardente desiderio.

“Quando un’anima nasce in questo paese le vengono gettate delle reti per impedire che fugga. Tu mi parli di religione, lingua e nazionalità: io cercherò di fuggire da quelle reti”.

L’essere umano non ha ali. Si muove camminando, tutt’al più correndo, ma sempre orizzontalmente. Ecco perché le nostre fantasie di libertà sono legate sempre ad un’ascesa, il volo, o ad una discesa, come lo scivolare o il lasciarsi andare.

La vita è un tuffo in un labirinto orizzontale. La libertà è un movimento verticale, un volare verso le stelle, o un tramontare delle stesse.

Il desiderio indica l’attesa di un qualcosa, una promessa di Bene, la stessa pulsione vitale del cuore di Icaro che lo porta inevitabilmente a continuare a cercare cosa, o meglio “chi”, sia capace di soddisfare il suo ardente desiderio.

Artificio - luce, rumore, fumo (2023)

Da un’idea di: Marco Laudani
Coreografia e Regia: Marco Laudani
Testo: Noemi Privitera
Progetto sonoro: Michele Piccolo, Massimo Lievore
Altre musiche: Sergei Prokofiev
Danzatori: Ismaele Buonvenga, Paola Tosto
Assistente alla coreografia: Rachele Pascale
Acting Coach: Sergio Campisi
Produzione: ocram dance movement in collaborazione con Scenario Pubblico / Compagnia Zappalà Danza Centro Di Rilevante Interesse Nazionale
Durata: 20 minuti

Come un gioco pirotecnico che incanta e lascia a bocca aperta, la vita dura il tempo di un'esplosione clamorosa, poi finisce. Ciò che rimane, al termine dello spettacolo esilarante, è la sensazione che sia durato troppo poco, lo stupore e una dolce amara malinconia, la voglia di ricominciare da capo, la paura che sia già troppo tardi. Attraverso la metafora dei fuochi d'artificio, è possibile vivere le tre fasi più significative dell'esistenza umana e le sensazioni che predominano su ciascuna di esse.

L'infanzia, infatti, è caratterizzata dal sapore dell'attesa che precede l'evento, un piacere che ancora deve esistere, ma che è già più intenso del piacere stesso che verrà. La vita di un bambino segue la logica del noto monito "hic et nunc", ma in un' accezione ben più ingenua e, forse, più genuina. I bambini colgono l'attimo nella sua essenza, non si preoccupano delle conseguenze delle proprie azioni, né ragionano a lungo prima dicompiere una scelta. Questa loro avventatezza, figlia dell'immaturità, è forse ciò a cui aspira Orazio, provando a vivere nel "qui e ora" nonostante l'età adulta. Ma l'infanzia non è replicabile nemmeno dal miglior poeta e con essa diviene introvabile anche il piacere godurioso che risiede nella preparazione.

La scintilla che accende il fuoco genera un'esplosione irreversibile e, in un attimo, si è adulti. Il piacere non risiede più nell'attesa dei fuochi, ma è il fuoco stesso. Luminoso, assordante e prorompente, è il momento di massima espressione del gioco pirotecnico e della vita umana, il culmine dello spettacolo. Durante la prima età adulta tutto ruota attorno all'amore - l'amore per se stessi, l'amore per un'altra persona, l'amore per un progetto, l'amore per un animale e così via - e l'amore è il piacere stesso.

La ricerca dell'amore è eccitante, la sua perdita è estenuante, ma è nell'amore vissuto e consumato che dimora il godimento umano, il resto è un contorno che arricchisce o depaupera. Tuttavia, l'amore moderato è una prerogativa delle persone sagge e la saggezza è un traguardo che interessa un'altra fase della vita, la terza. Un giovane adulto ama molto, e molte volte, e il sentimento genera luce e rumore, ma "gioie violente hanno fini violente. Muoiono nel loro trionfo, come la polvere da sparo e il fuoco che si consumano al primo bacio". Se Romeo e Giulietta avessero avuto sessantacinque anni o poco più, forse avrebbero amato in silenzio e con moderazione, ma sarebbero rimasti vivi almeno fino alla fine dei fuochi.

Si consuma lenta la vita durante la vecchiaia, anche il corpo rallenta la sua marcia verso un traguardo che, alla fine dei conti, spetta a tutti e che tutti vorrebbero evitare, tranne gli stoici. L'ultimo sparo nel cielo segna la fine dei giochi e l'inizio di un buio nebuloso che vive di luce riflessa di una vita già vissuta.

Come un gioco pirotecnico che incanta e lascia a bocca aperta, la vita dura il tempo di un'esplosione clamorosa, poi finisce. Ciò che rimane, al termine dello spettacolo esilarante, è la sensazione che sia durato troppo poco, lo stupore e una dolce amara malinconia, la voglia di ricominciare da capo, la paura che sia già troppo tardi. Attraverso la metafora dei fuochi d'artificio, è possibile vivere le tre fasi più significative dell'esistenza umana e le sensazioni che predominano su ciascuna di esse.

L'infanzia, infatti, è caratterizzata dal sapore dell'attesa che precede l'evento, un piacere che ancora deve esistere, ma che è già più intenso del piacere stesso che verrà. La vita di un bambino segue la logica del noto monito "hic et nunc", ma in un' accezione ben più ingenua e, forse, più genuina. I bambini colgono l'attimo nella sua essenza, non si preoccupano delle conseguenze delle proprie azioni, né ragionano a lungo prima dicompiere una scelta. Questa loro avventatezza, figlia dell'immaturità, è forse ciò a cui aspira Orazio, provando a vivere nel "qui e ora" nonostante l'età adulta. Ma l'infanzia non è replicabile nemmeno dal miglior poeta e con essa diviene introvabile anche il piacere godurioso che risiede nella preparazione.

La scintilla che accende il fuoco genera un'esplosione irreversibile e, in un attimo, si è adulti. Il piacere non risiede più nell'attesa dei fuochi, ma è il fuoco stesso. Luminoso, assordante e prorompente, è il momento di massima espressione del gioco pirotecnico e della vita umana, il culmine dello spettacolo. Durante la prima età adulta tutto ruota attorno all'amore - l'amore per se stessi, l'amore per un'altra persona, l'amore per un progetto, l'amore per un animale e così via - e l'amore è il piacere stesso.

La ricerca dell'amore è eccitante, la sua perdita è estenuante, ma è nell'amore vissuto e consumato che dimora il godimento umano, il resto è un contorno che arricchisce o depaupera. Tuttavia, l'amore moderato è una prerogativa delle persone sagge e la saggezza è un traguardo che interessa un'altra fase della vita, la terza. Un giovane adulto ama molto, e molte volte, e il sentimento genera luce e rumore, ma "gioie violente hanno fini violente. Muoiono nel loro trionfo, come la polvere da sparo e il fuoco che si consumano al primo bacio". Se Romeo e Giulietta avessero avuto sessantacinque anni o poco più, forse avrebbero amato in silenzio e con moderazione, ma sarebbero rimasti vivi almeno fino alla fine dei fuochi.

Si consuma lenta la vita durante la vecchiaia, anche il corpo rallenta la sua marcia verso un traguardo che, alla fine dei conti, spetta a tutti e che tutti vorrebbero evitare, tranne gli stoici. L'ultimo sparo nel cielo segna la fine dei giochi e l'inizio di un buio nebuloso che vive di luce riflessa di una vita già vissuta.

Trittongo (2022)

Coreografia: Marco Laudani e Claudio Scalia
Drammaturgia: Noemi Privitera
Produzione: Scenario Pubblico Centro di Rilevante Interesse Nazionale | con il sostegno di MIC Ministero della Cultura e di Regione Siciliana Ass.to del Turismo, dello Sport e dello Spettacolo (per CZD2 Giovane compagnia Zappalà Danza)
Costumi: Gabriella Palomba
Musiche: Anna Caragnano e Donato Dozzy, Matsumoto Zoku, John Cage
Disegno Luci: Sammy Torrisi
Danzatori: 7
Durata: 20 minuti

Talvolta, si comprende l’eccezionalità di un fenomeno quando lo si osserva attraverso lo sguardo stupito degli altri. La lingua italiana comprende numerose parole formate dall’incontro ravvicinato di tre vocali diverse, eppure, la ricerca del trittongo richiede tempo e ragionamento. Nell’immenso mare di parole che caratterizza l’idioma, infatti, quelle formate da tre vocali sono difficili da rintracciare per la mente e la bocca abituate a parlare la lingua italiana.

Se, invece, si pronuncia la parola “aiuola” in presenza di un inglese, questi ricorderà quel suono e la regola grammaticale per sempre. È dal diario di bordo di un viaggiatore del mondo che nasce la riflessione sul trittongo, nonché la raccolta di tutte le parole più belle per gli stranieri, un racconto del loro stupore e della loro meraviglia al cospetto della lingua gentil sonante italiana, che evidenzia la facilità con cui si suole dare per scontate molte cose.

Che le parole creino mondi, universi, galassie e, talvolta, li uniscano tra loro, non è certo una scoperta. Tuttavia, in una realtà sociale così grande e sempre più complessa, piena di collegamenti virtuali, ma talvolta scissa e divisa, occorre ricordare il potere di coesione del linguaggio, un potere forte e, spesso, indissolubile, che desta curiosità e crea legami imprescindibili, come quelli tra le vocali dei trittonghi e tra gli esseri umani sparsi per il mondo, che hanno ancora il coraggio e il desiderio di meravigliarsi per una parola dal suono insolito.

Ma c’è di più.

Dall’incontro delle tre vocali all’interno di una sola sillaba, non solo nasce la salda unione in grado di sbalordire, ma avviene anche una trasformazione.

Le vocali nel trittongo mutano, diventando semivocali.

Quando si incontrano tra loro, può succedere che le vocali non sono più delle semplici vocali, ma diventano un ibrido tra una vocale e una consonante e il loro suono diviene più breve.

Si evolvono.
Da sole non potrebbero farlo.
Si trasformano.
Come le persone.

Noi siamo chi siamo quando restiamo da soli, ma siamo anche chi siamo quando viviamo con gli altri.
Quando entriamo in contatto con loro, li incontriamo, ci scontriamo.
Quando ci tocchiamo, ci uniamo, diventiamo un’unica entità sociale.

L’importanza di una regola grammaticale ci insegna il rilievo che assume il valore assoluto della vicinanza, anche in un’epoca storica in cui è raccomandabile mantenere le distanze, a scapito della forza dei legami, della trasformazione intesa come evoluzione, dello stupore e della meraviglia. Siamo completi anche da soli, come le vocali, che esistono al di là dei trittonghi. Siamo diversi quando ci incontriamo, contaminandoci, modificando il nostro suono, come le vocali. Insieme siamo di più, siamo più ricchi.

Semivocali che aspirano al trittongo.

Talvolta, si comprende l’eccezionalità di un fenomeno quando lo si osserva attraverso lo sguardo stupito degli altri. La lingua italiana comprende numerose parole formate dall’incontro ravvicinato di tre vocali diverse, eppure, la ricerca del trittongo richiede tempo e ragionamento. Nell’immenso mare di parole che caratterizza l’idioma, infatti, quelle formate da tre vocali sono difficili da rintracciare per la mente e la bocca abituate a parlare la lingua italiana.

Se, invece, si pronuncia la parola “aiuola” in presenza di un inglese, questi ricorderà quel suono e la regola grammaticale per sempre. È dal diario di bordo di un viaggiatore del mondo che nasce la riflessione sul trittongo, nonché la raccolta di tutte le parole più belle per gli stranieri, un racconto del loro stupore e della loro meraviglia al cospetto della lingua gentil sonante italiana, che evidenzia la facilità con cui si suole dare per scontate molte cose.

Che le parole creino mondi, universi, galassie e, talvolta, li uniscano tra loro, non è certo una scoperta. Tuttavia, in una realtà sociale così grande e sempre più complessa, piena di collegamenti virtuali, ma talvolta scissa e divisa, occorre ricordare il potere di coesione del linguaggio, un potere forte e, spesso, indissolubile, che desta curiosità e crea legami imprescindibili, come quelli tra le vocali dei trittonghi e tra gli esseri umani sparsi per il mondo, che hanno ancora il coraggio e il desiderio di meravigliarsi per una parola dal suono insolito.

Ma c’è di più.

Dall’incontro delle tre vocali all’interno di una sola sillaba, non solo nasce la salda unione in grado di sbalordire, ma avviene anche una trasformazione.

Le vocali nel trittongo mutano, diventando semivocali.

Quando si incontrano tra loro, può succedere che le vocali non sono più delle semplici vocali, ma diventano un ibrido tra una vocale e una consonante e il loro suono diviene più breve.

Si evolvono.
Da sole non potrebbero farlo.
Si trasformano.
Come le persone.

Noi siamo chi siamo quando restiamo da soli, ma siamo anche chi siamo quando viviamo con gli altri.
Quando entriamo in contatto con loro, li incontriamo, ci scontriamo.
Quando ci tocchiamo, ci uniamo, diventiamo un’unica entità sociale.

L’importanza di una regola grammaticale ci insegna il rilievo che assume il valore assoluto della vicinanza, anche in un’epoca storica in cui è raccomandabile mantenere le distanze, a scapito della forza dei legami, della trasformazione intesa come evoluzione, dello stupore e della meraviglia. Siamo completi anche da soli, come le vocali, che esistono al di là dei trittonghi. Siamo diversi quando ci incontriamo, contaminandoci, modificando il nostro suono, come le vocali. Insieme siamo di più, siamo più ricchi.

Semivocali che aspirano al trittongo.

Achilles’ (2022)

Concept e coregrafia: Glenda Gheller
Produzione: ocram dance movement in collaborazione con Scenario Pubblico centro Nazionale di produzione della danza
Music composer: Michele Piccolo, Massimo Lievore
Costumi: Kieran Brown // realizzazione: Gabriella Palomba
Durata : 20 minuti

Achilles’ esplora il confine tra la natura umana e ciò che la trascende, guarda a quella minuscola parte di vulnerabilità nascosta da una sovrumana forza.

È una continua scoperta che si manifesta esteriormente ed esteticamente attraverso i corpi dei danzatori che sperimentano la loro resistenza fisica, e interiormente mediante l’accettazione della propria vulnerabilità che diventa la più alta dimostrazione di coraggio.

Nel processo coreografico le ricerche di Brené Brown, sociologa e autrice americana, hanno rappresentato il punto di partenza della creazione.

Alla domanda “come faccio a diventare una persona coraggiosa?”, B. Brown risponderebbe: “Renditi vulnerabile. Rimanere vulnerabili è un rischio che dobbiamo correre se vogliamo sperimentare la connessione umana più sincera”.

Achilles’ è un processo di resilienza, dove ognuno si ritrova a convertire le proprie debolezze in punti di forza, per entrare in connessione con sé stesso e le realtà emotive altrui.

Essere invincibili o essere autentici? Dove si cela realmente la vera fonte di forza?

Achilles’ esplora il confine tra la natura umana e ciò che la trascende, guarda a quella minuscola parte di vulnerabilità nascosta da una sovrumana forza.

È una continua scoperta che si manifesta esteriormente ed esteticamente attraverso i corpi dei danzatori che sperimentano la loro resistenza fisica, e interiormente mediante l’accettazione della propria vulnerabilità che diventa la più alta dimostrazione di coraggio.

Nel processo coreografico le ricerche di Brené Brown, sociologa e autrice americana, hanno rappresentato il punto di partenza della creazione.

Alla domanda “come faccio a diventare una persona coraggiosa?”, B. Brown risponderebbe: “Renditi vulnerabile. Rimanere vulnerabili è un rischio che dobbiamo correre se vogliamo sperimentare la connessione umana più sincera”.

Achilles’ è un processo di resilienza, dove ognuno si ritrova a convertire le proprie debolezze in punti di forza, per entrare in connessione con sé stesso e le realtà emotive altrui.

Essere invincibili o essere autentici? Dove si cela realmente la vera fonte di forza?

Espresso (2022)

Produzione: Ocram Dance Movement // Scenario Pubblico Centro Nazionale di Produzione della Danza
Coreografia e Set Concept: Claudio Scalia, Marco Laudani // Damiano Scavo
Disegno luci: Marco Laudani
Costumi: Gabriella Palomba
Musiche: Tony Renis, Toto Cotugno
Danzatori: 2
Testo: Fabiana Radinieri
Durata : 10 minuti

Il famoso "espresso" è la bevanda più emulata all'estero, in mezza tazzina si racchiude la cultura di un'Italia intera.

Attraverso uno scambio di lezioni di lingua italiana, Espresso vuole raccontare in chiave simbolica e ironica la visione tipica e dominante dell'italiano dagli occhi di uno straniero.

L'amore raccontato dall'incontro di ... e .... È un amore in cui riecheggia il fare la corte, fatto di sguardi e di gesti. La gestualità anch'essa passionale e appassionata come nel linguaggio.

Lo stereotipo dell'italiano che alza la voce e gesticola dimenando le braccia in aria è così intrinseco (…e fondato) da portare Bruno Munari a creare un dizionario dei gesti italiani.

L'enfasi del nostro linguaggio si ripercuote anche nel culto, nella preghiera che si trasformano in occasioni di festa, di riti popolari carichi di tradizione.

È vero che tutto questo potrebbe sembrare un'esemplificazione della nostra cultura ma è quello che in realtà fa di noi essere italiani.

Siamo una miscela di amore, festa, rumore e calore.
E allora vi invitiamo a lasciarvi avvolgere….

Il famoso "espresso" è la bevanda più emulata all'estero, in mezza tazzina si racchiude la cultura di un'Italia intera.

Attraverso uno scambio di lezioni di lingua italiana, Espresso vuole raccontare in chiave simbolica e ironica la visione tipica e dominante dell'italiano dagli occhi di uno straniero.

L'amore raccontato dall'incontro di ... e .... È un amore in cui riecheggia il fare la corte, fatto di sguardi e di gesti. La gestualità anch'essa passionale e appassionata come nel linguaggio.

Lo stereotipo dell'italiano che alza la voce e gesticola dimenando le braccia in aria è così intrinseco (…e fondato) da portare Bruno Munari a creare un dizionario dei gesti italiani.

L'enfasi del nostro linguaggio si ripercuote anche nel culto, nella preghiera che si trasformano in occasioni di festa, di riti popolari carichi di tradizione.

È vero che tutto questo potrebbe sembrare un'esemplificazione della nostra cultura ma è quello che in realtà fa di noi essere italiani.

Siamo una miscela di amore, festa, rumore e calore.
E allora vi invitiamo a lasciarvi avvolgere….

Sovraccarico (2022)

Coreografia e Set Concept: Damiano Scavo
Danzatore: 1
Durata : 20 minuti

Cosa faresti se ti trovassi obbligato a scegliere per qualcun altro?
Quali sarebbero le tue priorità?

Quando la vita di una persona attraversa quella di un’altra ci sono ripercussioni, insegnamenti, ferite o salti di gioia, di certo esperienze di sfumature infinitesimali, e lo sappiamo sin dal principio.

Sii consapevole di ciò che puoi fare e della responsabilità che hai rispetto al mondo circostante, ciò non significa modificare il proprio agire, ma prenderne atto.
Poi agisci.

Sovraccarico è un progetto di danza partecipativa, tramite l’utilizzo di un’interfaccia innovativa, lo spettatore potrà modificare il corpo del danzatore in maniera guidata decidendo come posizionare dei pesi tra le varie parti del suo corpo.

Tra gli aspetti più importanti del progetto, si sottolinea da parte dello spettatore la crescente consapevolezza dei propri mezzi e della responsabilità delle proprie scelte in relazione all’andamento della performance.

Drammaturgicamente i pesi rappresentano i segni delle esperienze che attraversano la vita di una persona, qualunque tipo di relazione tra persone, cose e luoghi ha un impatto sul mondo e sulle persone circostanti.

Cosa faresti se ti trovassi obbligato a scegliere per qualcun altro?
Quali sarebbero le tue priorità?

Quando la vita di una persona attraversa quella di un’altra ci sono ripercussioni, insegnamenti, ferite o salti di gioia, di certo esperienze di sfumature infinitesimali, e lo sappiamo sin dal principio.

Sii consapevole di ciò che puoi fare e della responsabilità che hai rispetto al mondo circostante, ciò non significa modificare il proprio agire, ma prenderne atto.
Poi agisci.

Sovraccarico è un progetto di danza partecipativa, tramite l’utilizzo di un’interfaccia innovativa, lo spettatore potrà modificare il corpo del danzatore in maniera guidata decidendo come posizionare dei pesi tra le varie parti del suo corpo.

Tra gli aspetti più importanti del progetto, si sottolinea da parte dello spettatore la crescente consapevolezza dei propri mezzi e della responsabilità delle proprie scelte in relazione all’andamento della performance.

Drammaturgicamente i pesi rappresentano i segni delle esperienze che attraversano la vita di una persona, qualunque tipo di relazione tra persone, cose e luoghi ha un impatto sul mondo e sulle persone circostanti.

Yes, I am (2022)

Coreografia e Set Concept: Marco Laudani
Disegno luci: Marco Laudani
Costume design: Claudio Scalia
Musiche: Elvis Presley
Danzatore: 1
Durata : 10 minuti

Quando il cervello è come una cellula che continua a sdoppiarsi allora possiamo credere di essere chiunque, anche Elvis Presley.

Il disturbo dissociativo dell’identità è un meccanismo di difesa sviluppato dal cervello per proteggere la persona che ha subito gravi traumi e che lo fa entrare in una specie di coma psicologico.

Ne deriva lo sviluppo di tanti “altri” che prendono ciclicamente il controllo del comportamento dell’individuo.

Quando il cervello è come una cellula che continua a sdoppiarsi allora possiamo credere di essere chiunque, anche Elvis Presley.

Il disturbo dissociativo dell’identità è un meccanismo di difesa sviluppato dal cervello per proteggere la persona che ha subito gravi traumi e che lo fa entrare in una specie di coma psicologico.

Ne deriva lo sviluppo di tanti “altri” che prendono ciclicamente il controllo del comportamento dell’individuo.

Cactus (2021)

Coreografia e Set Concept: Damiano Scavo
Costumi: Damiano Scavo
Performers: 3
Durata : 15 minuti

Dentro ogni essere vivente esiste una grande potenzialità, questa può avere tante forme, può essere plasmata a proprio piacimento e può definirsi autonomamente, senza che ce ne rendiamo conto.

Cactus racconta delle tante sfaccettature che una personalità può assumere, di come cercando di trovare un'idea coerente alla propria visione di sé stessi, la mente possa viaggiare e raggiungere conclusioni più o meno razionali, dettate dalla pluralità dei diversi IO con cui conviviamo.

Lo scopo di Cactus è quello di incoraggiare a esplorarsi senza filtri, lasciando spazio alle tante potenzialità che ignoriamo, anche se spesso l'autogiudizio pone una censura.

Fondamentale per il compimento del pensiero è la scelta di portare in scena tre forme artistiche differenti, tutte rappresentanti un'unica mente.

Ancor più importante è come queste si spingano oltre i propri schemi, come, a prescindere dal ruolo che cerchiamo di interpretare, spesso emerge una parte diversa di noi, una delle tante appartenenti ad un unico puzzle di cui ogni giorno possiamo comprenderne meglio un piccolo pezzo.

A volte basta guardarsi dentro, come un cactus nel deserto.

Dentro ogni essere vivente esiste una grande potenzialità, questa può avere tante forme, può essere plasmata a proprio piacimento e può definirsi autonomamente, senza che ce ne rendiamo conto.

Cactus racconta delle tante sfaccettature che una personalità può assumere, di come cercando di trovare un'idea coerente alla propria visione di sé stessi, la mente possa viaggiare e raggiungere conclusioni più o meno razionali, dettate dalla pluralità dei diversi IO con cui conviviamo.

Lo scopo di Cactus è quello di incoraggiare a esplorarsi senza filtri, lasciando spazio alle tante potenzialità che ignoriamo, anche se spesso l'autogiudizio pone una censura.

Fondamentale per il compimento del pensiero è la scelta di portare in scena tre forme artistiche differenti, tutte rappresentanti un'unica mente.

Ancor più importante è come queste si spingano oltre i propri schemi, come, a prescindere dal ruolo che cerchiamo di interpretare, spesso emerge una parte diversa di noi, una delle tante appartenenti ad un unico puzzle di cui ogni giorno possiamo comprenderne meglio un piccolo pezzo.

A volte basta guardarsi dentro, come un cactus nel deserto.

H(and)s (2021)

Coreografia e Set Concept: Claudio Scalia, Marco Laudani
Disegno luci: Marco Laudani
Costumi: Theama for dance
Musiche: Oliveray
Danzatore: 1
Durata : 10 minuti

Talora le immagini vive nel passato chiedono ancora spiegazioni al presente, mentre dal pozzo della memoria, cavità cupa ed evanescente, affiorano solo pallide immagini, lievi simulacri.

Ed è allora che il presente chiama in causa il passato come dinnanzi a un tribunale d’appello.

D’altra parte, ci si chiede se sia mai possibile che si presentino alla memoria, nella stessa sequenza e successione in cui sono state vissute, le piccole e grandi cose della vita.

In h(and)s la danzatrice si lascia guidare dalle proprie mani, “finestra della mente”, in un percorso di riscoperta del proprio passato.

I movimenti ora maturi e consapevoli, ora teneri e fanciulleschi rendono la performance senza tempo e astratta.

Quando risuona una filastrocca lo spazio prende forma e riaffiorano i ricordi più felici: le carezze della propria madre, i tentativi di balbettare le prime frasi e di muovere i primi, incerti passi.

Questi trionfi iniziali, di solito presto dimenticati, sono tuttavia la base naturale della fiducia in se stessi.

Talora le immagini vive nel passato chiedono ancora spiegazioni al presente, mentre dal pozzo della memoria, cavità cupa ed evanescente, affiorano solo pallide immagini, lievi simulacri.

Ed è allora che il presente chiama in causa il passato come dinnanzi a un tribunale d’appello.

D’altra parte, ci si chiede se sia mai possibile che si presentino alla memoria, nella stessa sequenza e successione in cui sono state vissute, le piccole e grandi cose della vita.

In h(and)s la danzatrice si lascia guidare dalle proprie mani, “finestra della mente”, in un percorso di riscoperta del proprio passato.

I movimenti ora maturi e consapevoli, ora teneri e fanciulleschi rendono la performance senza tempo e astratta.

Quando risuona una filastrocca lo spazio prende forma e riaffiorano i ricordi più felici: le carezze della propria madre, i tentativi di balbettare le prime frasi e di muovere i primi, incerti passi.

Questi trionfi iniziali, di solito presto dimenticati, sono tuttavia la base naturale della fiducia in se stessi.

Placebo (2021)

Coreografia e Set Concept: Claudio Scalia
Testi: Fabiana Radinieri
Costumi: Theama for dance
Musiche: Piano concerto no.23, Orchestra Filarmonica di Vienna (Mozart), Alfio Antico
Danzatore: 1
Durata : 12 minuti

L’IO si costruisce in una continua dinamica relazionale, nel continuo processo di accettazione e assimilazione di quello che ci circonda. Gli altri diventando frutto a cui attingere per alimentare nuovi modi di vederci e scoprirci.

Ignaro il mondo possiede un’arma... il giudizio.

Un’arma che non fa rumore e che silenziosamente scalfisce il nostro essere.

Un’arma alla portata di tutti, facile e leggera da usare.

Il giudizio si costruisce con le parole, con gli sguardi, con semplici atteggiamenti.

Riuscire ad uscire dal mirino del giudizio implica un grande coraggio, implica riuscire ad accettare quello che siamo.

L’ amor proprio è intrinseco in quella sensazione di liberazione di chi riesce a esprimere sè in tutte le sue sfaccettature.

La leggerezza di chi non ha paura di guardare e guardarsi, di chi non ha paura di dire: “sto bene”.

Placebo vuole essere una denuncia alla negazione semplicemente di ESSERE.

Placebo è ACCETTARSI... per come si è, per come si ama, per come si sceglie di esistere...

L’IO si costruisce in una continua dinamica relazionale, nel continuo processo di accettazione e assimilazione di quello che ci circonda. Gli altri diventando frutto a cui attingere per alimentare nuovi modi di vederci e scoprirci.

Ignaro il mondo possiede un’arma... il giudizio.

Un’arma che non fa rumore e che silenziosamente scalfisce il nostro essere.

Un’arma alla portata di tutti, facile e leggera da usare.

Il giudizio si costruisce con le parole, con gli sguardi, con semplici atteggiamenti.

Riuscire ad uscire dal mirino del giudizio implica un grande coraggio, implica riuscire ad accettare quello che siamo.

L’ amor proprio è intrinseco in quella sensazione di liberazione di chi riesce a esprimere sè in tutte le sue sfaccettature.

La leggerezza di chi non ha paura di guardare e guardarsi, di chi non ha paura di dire: “sto bene”.

Placebo vuole essere una denuncia alla negazione semplicemente di ESSERE.

Placebo è ACCETTARSI... per come si è, per come si ama, per come si sceglie di esistere...

Baroccocò (2020)

Coreografia: Marco Laudani
Drammaturgia: Sergio Campisi
Disegno luci: Marco Laudani
Costumi: Theama for dance
Musiche: Lino Cannavacciuolo
Danzatori: 4
Durata : 20 minuti

Sicilia, 1693. Un terremoto di inaudita violenza si abbatte come una piaga su questa terra antica e fiabesca, scolpita da vento, vulcani e mare, in cui il continuo conflitto tra culture differenti che tanto spaventa il mondo moderno ha donato un carattere unico e affascinante.

Piegati ma non spezzati però, i Siciliani, con spirito indomito, decidono di ripartire, di prendersi cura della loro terra, di riedificare le loro città ed i loro borghi.

Nasce così il Barocco in Sicilia, una perla imperfetta ed irregolare, con le sue forme sovraccariche, appariscenti e sfarzose, spesso ritenute eccessive, di cattivo gusto, forse persino vuote di valori.

Un viaggio attraverso il quale scopriamo come la Sicilia ricostruì la propria terra, facendo perdere all’uomo la sua posizione di privilegio al centro del creato, con una nuova curiosità alla natura ed alla consapevolezza degli inganni in cui possono cadere i sensi, perché stupire lo spettatore, i suoi sensi ed emozioni diventa un mezzo, non un fine.

Sicilia, 1693. Un terremoto di inaudita violenza si abbatte come una piaga su questa terra antica e fiabesca, scolpita da vento, vulcani e mare, in cui il continuo conflitto tra culture differenti che tanto spaventa il mondo moderno ha donato un carattere unico e affascinante.

Piegati ma non spezzati però, i Siciliani, con spirito indomito, decidono di ripartire, di prendersi cura della loro terra, di riedificare le loro città ed i loro borghi.

Nasce così il Barocco in Sicilia, una perla imperfetta ed irregolare, con le sue forme sovraccariche, appariscenti e sfarzose, spesso ritenute eccessive, di cattivo gusto, forse persino vuote di valori.

Un viaggio attraverso il quale scopriamo come la Sicilia ricostruì la propria terra, facendo perdere all’uomo la sua posizione di privilegio al centro del creato, con una nuova curiosità alla natura ed alla consapevolezza degli inganni in cui possono cadere i sensi, perché stupire lo spettatore, i suoi sensi ed emozioni diventa un mezzo, non un fine.

AFRICA (2019)

Produzione: ocram dance movement in collaborazione con Scenario Pubblico Centro di Rilevante Interesse Nazionale
Concept e Coreografia: Claudio Scalia
Costumi: Gabriella Palomba
Musiche: Armand Amar, Jaap Blonk e Yaron Engler
Testo: Fabiana Radinieri
Danzatori: 4
Durata : 50 minuti

L’uomo viene alla natura e vi ritorna. Dalla sua venuta al mondo si trova parte costituente del suo mondo-ambiente, vi trova sostentamento, rifugio, sacralità. E nel loro incontro primordiale che l’intreccio uomo/natura appare quasi inscindibile.

La natura che plasma il corpo, ne disegna le forme, crea il suo ritmo. Questa è un continuo movimento, il vento che sposta le foglie degli alberi, l’acqua che scorre sul letto di un fiume, un fiore che sboccia, le nuvole che assumono strane forme nel cielo... tutta la nostra esistenza è permeata dai suoi impeti.

Un ritmo che inizialmente è isolato ma che poi ne trova un altro, che sceglie, conosce. Uno alimenta l’altro e dà vita ad una nuova danza. I corpi insieme diventano un battito che seduce, ammalia e poi si scontra e si (ri)incontra nel turbinio delle emozioni più crude.

È compiuto.

In questo nuovo equilibrio i due corpi danno vita ad un rapporto forte e appagante. Si scoprono una natura nuova. Quasi stavolta a volerla dominare, a voler sfruttare le sue fonti, a trasformare i suoi paesaggi.

La natura sceglie allora di farsi ascoltare irrompendo con la sua forza… All’uomo non resta che uno sguardo impotente ma allo stesso tempo cosciente del male che ha causato ad essa, che divora anche sé.

L’uomo viene alla natura e vi ritorna. Dalla sua venuta al mondo si trova parte costituente del suo mondo-ambiente, vi trova sostentamento, rifugio, sacralità. E nel loro incontro primordiale che l’intreccio uomo/natura appare quasi inscindibile.

La natura che plasma il corpo, ne disegna le forme, crea il suo ritmo. Questa è un continuo movimento, il vento che sposta le foglie degli alberi, l’acqua che scorre sul letto di un fiume, un fiore che sboccia, le nuvole che assumono strane forme nel cielo... tutta la nostra esistenza è permeata dai suoi impeti.

Un ritmo che inizialmente è isolato ma che poi ne trova un altro, che sceglie, conosce. Uno alimenta l’altro e dà vita ad una nuova danza. I corpi insieme diventano un battito che seduce, ammalia e poi si scontra e si (ri)incontra nel turbinio delle emozioni più crude.

È compiuto.

In questo nuovo equilibrio i due corpi danno vita ad un rapporto forte e appagante. Si scoprono una natura nuova. Quasi stavolta a volerla dominare, a voler sfruttare le sue fonti, a trasformare i suoi paesaggi.

La natura sceglie allora di farsi ascoltare irrompendo con la sua forza… All’uomo non resta che uno sguardo impotente ma allo stesso tempo cosciente del male che ha causato ad essa, che divora anche sé.

Seven Years (2019)

Coreografia e Set Concept: Marco Laudani
Disegno luci: Marco Laudani
Costumi: Gabriella Palomba
Musiche: Forndom, Armand Amar
Danzatore: 1
Durata : 10 minuti

Per sette anni consecutivi gli atleti Gyōja effettuano una durissima prova per raggiungere l’illuminazione percorrendo più di 46 mila chilometri.

Una prova fatta di disciplina, pazienza, perseveranza, concentrazione, generosità e conoscenza trascendente, passo dopo passo.

I Gyōja sperimentano sensazioni di vuoto e trasparenza, purificando i pensieri, rendendoli neutri, senza giudizi.

Mentre corrono e camminano imparano a fare riposare parti del corpo entrando in uno stato meditativo.

Non corrono per essere più veloci o per vincere qualcosa. Danzano semplicemente correndo e lasciandosi andare.

Alla fine i monaci diventano un tutt’uno con la montagna durante il lungo percorso, riuscendo a superare tutti gli ostacoli e scoprendo la pace interiore che si riflette con quella esteriore.

Durante questi sette anni, le stelle, il cielo, le pietre, le piante, gli alberi diventano compagni del cammino di questi monaci, che sviluppano la capacità di prevedere il tempo tramite la forma delle nuvole, la direzione del vento e l’odore dell’aria.

Conoscono gli orari di quando gli uccelli e gli insetti iniziano a cantare e si stupiscono come se fosse la prima volta nel vedere danzare il sole e la luna ad ogni crepuscolo.

“Le cose più ammirevoli di questi monaci sono il calore, il loro cuore aperto, l’umanità.

Ad affrontare più volte la morte si sentono vivi in ogni singolo momento, pieno di gratitudine, gioia e grazia.

Hanno molto da insegnare: cercano sempre il massimo, senza guardare indietro, prendendosi cura degli altri e mantenendo la mente nel cammino”.

Per sette anni consecutivi gli atleti Gyōja effettuano una durissima prova per raggiungere l’illuminazione percorrendo più di 46 mila chilometri.

Una prova fatta di disciplina, pazienza, perseveranza, concentrazione, generosità e conoscenza trascendente, passo dopo passo.

I Gyōja sperimentano sensazioni di vuoto e trasparenza, purificando i pensieri, rendendoli neutri, senza giudizi.

Mentre corrono e camminano imparano a fare riposare parti del corpo entrando in uno stato meditativo.

Non corrono per essere più veloci o per vincere qualcosa. Danzano semplicemente correndo e lasciandosi andare.

Alla fine i monaci diventano un tutt’uno con la montagna durante il lungo percorso, riuscendo a superare tutti gli ostacoli e scoprendo la pace interiore che si riflette con quella esteriore.

Durante questi sette anni, le stelle, il cielo, le pietre, le piante, gli alberi diventano compagni del cammino di questi monaci, che sviluppano la capacità di prevedere il tempo tramite la forma delle nuvole, la direzione del vento e l’odore dell’aria.

Conoscono gli orari di quando gli uccelli e gli insetti iniziano a cantare e si stupiscono come se fosse la prima volta nel vedere danzare il sole e la luna ad ogni crepuscolo.

“Le cose più ammirevoli di questi monaci sono il calore, il loro cuore aperto, l’umanità.

Ad affrontare più volte la morte si sentono vivi in ogni singolo momento, pieno di gratitudine, gioia e grazia.

Hanno molto da insegnare: cercano sempre il massimo, senza guardare indietro, prendendosi cura degli altri e mantenendo la mente nel cammino”.

AMUNINNI (2018)

Coreografia e Set Concept: Marco Laudani
Disegno luci: Marco Laudani
Costumi: Marco Laudani
Musiche: Ada Milea
Danzatori: 2
Testi: Umberto Galimberti
Durata : 15 minuti

Tradire un amore, tradire un amico, tradire un'idea, tradire un partito, tradire persino la patria vuol dire distaccarsi da una parte che ci apparteneva e creare uno spazio nuovo, sconosciuto, incognito.

Nasciamo infatti nella fiducia che qualcuno ci nutra e ci ami, ma possiamo crescere e diventare noi stessi solo se usciamo da questa fiducia, se non ne restiamo prigionieri, se a coloro che per primi ci hanno amato e a tutti quelli che dopo di loro sono venuti, un giorno sappiamo dire: "Non sono come tu mi vuoi".

n ogni amore, da quello dei genitori, dei mariti, delle mogli, degli amici, della terra di nascita c’è una forma di possesso che arresta la nostra crescita e costringe la nostra identità a costituirsi solo all'interno di quel recinto che è la fedeltà che non dobbiamo tradire.

Ma in ogni fedeltà che non conosce il tradimento e neppure ne ipotizza la possibilità c'è troppa infanzia, troppa ingenuità, troppa paura di vivere con le sole nostre forze.

Tradire un amore, tradire un amico, tradire un'idea, tradire un partito, tradire persino la patria vuol dire distaccarsi da una parte che ci apparteneva e creare uno spazio nuovo, sconosciuto, incognito.

Nasciamo infatti nella fiducia che qualcuno ci nutra e ci ami, ma possiamo crescere e diventare noi stessi solo se usciamo da questa fiducia, se non ne restiamo prigionieri, se a coloro che per primi ci hanno amato e a tutti quelli che dopo di loro sono venuti, un giorno sappiamo dire: "Non sono come tu mi vuoi".

n ogni amore, da quello dei genitori, dei mariti, delle mogli, degli amici, della terra di nascita c’è una forma di possesso che arresta la nostra crescita e costringe la nostra identità a costituirsi solo all'interno di quel recinto che è la fedeltà che non dobbiamo tradire.

Ma in ogni fedeltà che non conosce il tradimento e neppure ne ipotizza la possibilità c'è troppa infanzia, troppa ingenuità, troppa paura di vivere con le sole nostre forze.

Requiem For You (2018)


Coreografia e Set Concept: Gennaro Maione
Disegno luci: Gennaro Maione
Danzatori: 5
Durata: 35 minuti

La struttura del lavoro desidera trasportare sulla scena una ricerca liturgica di corpi espressivi e danzanti, un gruppo di molteplici personalità che si raccontano e rapportano tra loro.

Forse sono amanti, sconosciuti o semplici artisti alla ricerca del proprio ego.

Spesso consapevoli della loro forza e importanza, spesso impietriti dal continuo evolversi della società di oggi.

Requiem for you è una dedica a chiunque essere umano. Un salto nell’umanità, un luogo dove si creano e si intersecano rapporti umani sotto ogni aspetto.

Questa è la creazione di una danza corale dove si mette in primo piano il corpo e la sua Persona con le sue qualità.

Il movimento con il ricordo emotivo è la matrice di cambiamento del corpo in un qualsiasi luogo e tempo che diventa più forte della parola, una simbolica caratteristica della nostra quotidianità che è a sua volta elemento di potere e di unicità oltre che fonte d’ispirazione della creazione coreografica divisa tra fisicità e spiritualità, mobilità e plasticità, dubbi e certezze.

Si parla di affetti e di crisi quotidiane, di domande e di risposte.

Un percorso vitale diviso per fasi in evoluzione:

FASE LUNARE – inizio

FASE TERRESTRE – nascita e conoscenza del mondo

FASE UMANA – approccio emotivo e sentimentale

FASE UTOPICA – il sogno

Vita, amore, speranza… le cinque individualità nascono, crescono e sognano insieme nello stesso raggio di luce ognuno con le proprie diversità e qualità.

Questi elementi costituiscono il flusso motorio di ogni essere umano che impreziosiscono l’individuo e le sue caratteristiche.

Il lavoro nasce come ulteriore “esigenza espressiva” dimostrando che può esistere una nuova voce comunicativa, oltre ad una nuova proprietà di linguaggio corporeo collegata a quella volontà di interazione con il resto del mondo attraverso l’utilizzo del movimento e del gesto, dando importanza alla sua personalità e alle sue capacità espressive, alla sua memoria e all’ascolto.

Per questo motivo ho voluto creare un “Requiem” in forma di danza dedicato all’uomo, alla sua nascita, alla sua evoluzione e involuzione, alle sue gioie, paure, speranze

Una preghiera per raccontare il proprio passato, vivere il presente e sperare nel futuro contro ogni sopruso morale e fisico dalla società contemporanea immaginando un nuovo concetto di “Umanesimo” 2.0, senza cancellare nel corso del tempo quelle che sono sempre state le volontà, le caratteristiche e le singolarità di ogni essere umano che resta muto, solo apparentemente, dinanzi ai cambiamenti del mondo ma che convive con una maggiore riconoscenza e consapevolezza del proprio essere nel presente in questa nuova era della contemporaneità.

La struttura del lavoro desidera trasportare sulla scena una ricerca liturgica di corpi espressivi e danzanti, un gruppo di molteplici personalità che si raccontano e rapportano tra loro.

Forse sono amanti, sconosciuti o semplici artisti alla ricerca del proprio ego.

Spesso consapevoli della loro forza e importanza, spesso impietriti dal continuo evolversi della società di oggi.

Requiem for you è una dedica a chiunque essere umano. Un salto nell’umanità, un luogo dove si creano e si intersecano rapporti umani sotto ogni aspetto.

Questa è la creazione di una danza corale dove si mette in primo piano il corpo e la sua Persona con le sue qualità.

Il movimento con il ricordo emotivo è la matrice di cambiamento del corpo in un qualsiasi luogo e tempo che diventa più forte della parola, una simbolica caratteristica della nostra quotidianità che è a sua volta elemento di potere e di unicità oltre che fonte d’ispirazione della creazione coreografica divisa tra fisicità e spiritualità, mobilità e plasticità, dubbi e certezze.

Si parla di affetti e di crisi quotidiane, di domande e di risposte.

Un percorso vitale diviso per fasi in evoluzione:

FASE LUNARE – inizio

FASE TERRESTRE – nascita e conoscenza del mondo

FASE UMANA – approccio emotivo e sentimentale

FASE UTOPICA – il sogno

Vita, amore, speranza… le cinque individualità nascono, crescono e sognano insieme nello stesso raggio di luce ognuno con le proprie diversità e qualità.

Questi elementi costituiscono il flusso motorio di ogni essere umano che impreziosiscono l’individuo e le sue caratteristiche.

Il lavoro nasce come ulteriore “esigenza espressiva” dimostrando che può esistere una nuova voce comunicativa, oltre ad una nuova proprietà di linguaggio corporeo collegata a quella volontà di interazione con il resto del mondo attraverso l’utilizzo del movimento e del gesto, dando importanza alla sua personalità e alle sue capacità espressive, alla sua memoria e all’ascolto.

Per questo motivo ho voluto creare un “Requiem” in forma di danza dedicato all’uomo, alla sua nascita, alla sua evoluzione e involuzione, alle sue gioie, paure, speranze

Una preghiera per raccontare il proprio passato, vivere il presente e sperare nel futuro contro ogni sopruso morale e fisico dalla società contemporanea immaginando un nuovo concetto di “Umanesimo” 2.0, senza cancellare nel corso del tempo quelle che sono sempre state le volontà, le caratteristiche e le singolarità di ogni essere umano che resta muto, solo apparentemente, dinanzi ai cambiamenti del mondo ma che convive con una maggiore riconoscenza e consapevolezza del proprio essere nel presente in questa nuova era della contemporaneità.

Divina (2017)

Coreografia e Set Concept: Marco Laudani
Disegno luci: Marco Laudani
Costumi: Marco Laudani
Musiche: Iva Bittovà, Meredith Monk
Danzatori: 3
Durata : 50 minuti

Esiste esigenza più forte del sentirsi importanti ed appagati?
Tutti noi siamo dotati di un istinto primordiale: l'affermazione della nostra esistenza.

Un istinto che si palesa con il primo calcio dato nel grembo di nostra madre, nel primo pianto quando entriamo a far parte di questo incredibile mondo popolato da miliardi di persone; individui intenti ad urlare più forte l'uno dell'altro “IO CI SONO”.

IO esisto.

Ogni passo che facciamo, in punta di piedi prima, con affanno poi, ci porta inesorabilmente ad affermare e confermare ad ogni costo chi siamo, o chi vogliamo essere.

Con prepotenza e velata ironia, DIVINA ci riporta all'inevitabile, quanto crudele, scelta tra esistere o vivere.

Una danza che fa da specchio ai conflitti interiori, che parla con occhi smarriti e dita tremanti.

A pochi passi dagli spettatori, saranno questi ultimi a darle una voce personale e intimamente propria.

Uno spettacolo che lascia aperte tutte le porte, sensazioni e percezioni di chi guarda aggiungeranno una sfumatura unica agli accesi colori di questo quadro.

Esiste esigenza più forte del sentirsi importanti ed appagati?
Tutti noi siamo dotati di un istinto primordiale: l'affermazione della nostra esistenza.

Un istinto che si palesa con il primo calcio dato nel grembo di nostra madre, nel primo pianto quando entriamo a far parte di questo incredibile mondo popolato da miliardi di persone; individui intenti ad urlare più forte l'uno dell'altro “IO CI SONO”.

IO esisto.

Ogni passo che facciamo, in punta di piedi prima, con affanno poi, ci porta inesorabilmente ad affermare e confermare ad ogni costo chi siamo, o chi vogliamo essere.

Con prepotenza e velata ironia, DIVINA ci riporta all'inevitabile, quanto crudele, scelta tra esistere o vivere.

Una danza che fa da specchio ai conflitti interiori, che parla con occhi smarriti e dita tremanti.

A pochi passi dagli spettatori, saranno questi ultimi a darle una voce personale e intimamente propria.

Uno spettacolo che lascia aperte tutte le porte, sensazioni e percezioni di chi guarda aggiungeranno una sfumatura unica agli accesi colori di questo quadro.

Mani Giunte (2017)

Coreografia e Set Concept: Roberta Ferrara
Costumi: Roberta Ferrara
Musiche: Awir Leon
Danzatori: 4
Durata : 20 minuti

Attraversiamo questo cammino a mani congiunte. Non abbiamo paura. Preghiamo, ringraziamo, imploriamo.

Le nostre mani raccontano, contano, bloccano, tirano, respirano le nostre dita.

Ascoltiamo il vento, possiamo afferrarlo e sentiamo la potenza in un pugno.

Santiago ci spiazza, e' colmo il mio pensiero.

Mi svuoto, evapora il mio corpo e non ho timore del tempo che passa.

E' come svegliarsi in mezzo al sole; io sento questo calore, il silenzio, le memorie.

Percorro questo cammino a piedi nudi e corro su distese di paesaggi, afferro la libertà e corro, corro verso te a mani congiunte così che il mio corpo possa osservare il suo baricentro, possa sentire l'estremità dei piedi, delle mani.

 I miei passi raccontano quello che oggi sono, che sono stato e che sarò.

E come uno stormo di uccelli può causare un temporale, io, prendo il mio corpo e dono questo strumento di carne al mondo causando tempesta, pace, amore, dolore, dono. Vivo, oggi vivo, domani...rinasco.

Ad ogni uomo che non c'è più, io dedico tutto questo.

Come un vulcano in eruzione, magmatico cerco di plasmare me, di essere vivo, di essere un colore. Non temo. Mi sfogo.

Ora ci si può stendere a terra, si può iniziare una corsa a perdifiato, si può, magari, anche stare in silenzio.

"Ben oltre le idee di giusto e sbagliato c’è un campo. Ti aspetterò laggiù.”

Attraversiamo questo cammino a mani congiunte. Non abbiamo paura. Preghiamo, ringraziamo, imploriamo.

Le nostre mani raccontano, contano, bloccano, tirano, respirano le nostre dita.

Ascoltiamo il vento, possiamo afferrarlo e sentiamo la potenza in un pugno.

Santiago ci spiazza, e' colmo il mio pensiero.

Mi svuoto, evapora il mio corpo e non ho timore del tempo che passa.

E' come svegliarsi in mezzo al sole; io sento questo calore, il silenzio, le memorie.

Percorro questo cammino a piedi nudi e corro su distese di paesaggi, afferro la libertà e corro, corro verso te a mani congiunte così che il mio corpo possa osservare il suo baricentro, possa sentire l'estremità dei piedi, delle mani.

 I miei passi raccontano quello che oggi sono, che sono stato e che sarò.

E come uno stormo di uccelli può causare un temporale, io, prendo il mio corpo e dono questo strumento di carne al mondo causando tempesta, pace, amore, dolore, dono. Vivo, oggi vivo, domani...rinasco.

Ad ogni uomo che non c'è più, io dedico tutto questo.

Come un vulcano in eruzione, magmatico cerco di plasmare me, di essere vivo, di essere un colore. Non temo. Mi sfogo.

Ora ci si può stendere a terra, si può iniziare una corsa a perdifiato, si può, magari, anche stare in silenzio.

"Ben oltre le idee di giusto e sbagliato c’è un campo. Ti aspetterò laggiù.”